Per chi segue questo giovanissimo blog dovrebbe essere ormai chiaro che per noi innovazione non è solo innovazione tecnologica. La tecnologia in fondo si compra, ha un prezzo, un costo. L’innovazione comporta, anzi presuppone, lo avevamo scritto sin dal primo post, una visione, un piano complessivo.
A livello nazionale si sostiene ormai da tutti che “Il nodo dirimente, il cambiamento atteso non stanno tanto in una politica più lungimirante sull’innovazione, ma nell’identificazione del futuro da costruire, nella consapevolezza che è necessario un chiaro cambio di modello e non un semplice miglioramento nell’efficacia degli interventi. Migliore qualità della vita, sviluppo economico e sociale…” (dalla Carta d’intenti per l’innovazione).
Ma, una volta individuato il futuro da costruire, si tratta poi di mettere in atto una gigantesca innovazione di processo, per la quale valgono gli stessi criteri che si devono seguire per le piccole innovazioni all’interno di una azienda o di un ente. Significa cioè cambiare i comportamenti delle persone che fanno parte a vario titolo e in vari momenti del processo: e ciascuno deve dare il proprio contributo di idee, di creatività, di competenza, di professionalità, di esperienza.
Pensavo a queste cose dopo aver letto il post del dr. Sticchi che illustrava sommariamente il recente “ordine di servizio” con il quale viene introdotto l’estratto conto dei servizi.
Una piccola cosa, apparentemente, ma che di fatto cambia abitudini e prassi, con evidenti vantaggi finali per i clienti e per gli operatori. Con un aspetto metodologico essenziale: perché si è giunti a questo cambiamento attraverso un progetto di ricerca, una sperimentazione, il consenso degli operatori interessati.
Le innovazioni sono sempre difficili, non da oggi. Nel 1513 Machiavelli scriveva nel Principe:
Non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più periculosa a maneggiare che farsi capo a introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbero bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarii,… parte dalla incredulità delli uomini, li quali non credono in verità le cose nuove se non ne veggono nata una ferma esperienzia.
Gentile redazione, complimenti per le tue piacevoli e sempre oculate osservazioni.
Ormai con il termine “innovazione” si esprime un concetto dalle molteplici sfaccettature. Se ne parla nei “processi produttivi” di una azienda, nei sistemi informativi e tecnologici, nella comunicazione, nei social network, nei media, ecc. ecc.
Pensando alla comunicazione, ad esempio, ed in particolare agli strumenti utilizzati dalla stessa, come giornali, riviste, ecc. ecc., è ormai drammaticamente inesorabile che questi ultimi hanno le ore contate e, come conseguenza, si avrà la chiusura di edicole e chioschi, il ridimensionamento di librerie… tutto a dir poco “sconvolgente”. E’ di qualche giorno fa la notizia che il Gruppo RCS (Corriere della sera … per intenderci) ha annunciato 800 esuberi (640 in Italia) e la chiusura di innumerevoli testate.
Tutto il sistema della comunicazione ha ormai preso una direzione irreversibile verso l’”on line”, anche se non sono certo che si possa parlare di “innovazione” (che cavolo di innovazione c’è nel licenziare le persone !!!), almeno in questo caso. (Sul mio comodino VOGLIO un libro e non un e-book !!!)
Ma tornando alle considerazioni sul concetto di innovazione, sono sostanzialmente d’accordo con te e con il Dr. Sticchi quando rimarcate il fatto che è un processo irreversibile, costoso e difficile da assimilare e da promuovere, soprattutto in certi contesti sia pubblici che privati.
E’ come un treno in corsa: lo possiamo prendere al volo, con difficoltà e impegno, e probabilmente taluni soggetti lo faranno controvoglia.
Ma che alternativa abbiamo? Rimanere in stazione?
No, grazie.
Fabrizio Arati
In questi giorni, come non mai prima, ho pensato spesso al “paradosso dell’innovazione”. Seguo le pubbliche amministrazioni da piu’ di 10 anni. Ho vissuto un periodo in cui l’innovazione è stata velocissima. Si è passati da una gestione manuale ad una gestione “informatica”, che, con l’avvento di internet, ha permesso un’accessibilità costante e continua ai dati da parte di tutti. Lo stato centrale continua a spingere verso l’innovazione….. Innovare, innovare, innovare. E qui viene il paradosso a cui più volte ho pensato in questi giorni: da un lato innovare, dall’altro non spendere. Quindi mi pongo un quesito: chi fa questo lavoro, dovrebbe contribuire al processo di innovazione fornendo servizi gratuiti?