I casi di conflitto tra il principio della riservatezza e quello della trasparenza sono continui e forse destinati ad aumentare se all’interno degli enti e delle organizzazioni non si predispongono opportune riflessioni e conseguenti adeguate linee interpretative che non sacrifichino nessuno dei due principi.
Al di là degli aspetti giuridici, tesi sicuramente a tutelare due diritti “fondamentali ma non esclusivamente prevalenti”, penso che ai cittadini, e quindi alla politica, dovrebbe interessare alla fine anche altro. Cerchiamo di arrivarci.
L’occasione dello scontro tra privacy e trasparenza, questa volta, è raccontata e documentata dall’avv. Graziano Garrisi del Digital&Law Department dello studio legale Lisi.
Pubblicare gli elenchi dei dipendenti che usufruiscono di distacchi, aspettative e permessi sindacali retribuiti in modo nominativo o aggregato? Eppure a ben vedere il caso poteva essere risolto proprio, come suggerisce l’avvocato, tenendo correttamente conto degli aspetti funzionali dei due principi. Nel caso specifico non esisteva una norma che obbligasse la pubblicazione dei dati personali. Ma a me cittadino che intendo controllare quel che avviene dentro le amministrazioni pubbliche non interessa conoscere i nomi dei sindacalisti ma la quantità e la qualità del fenomeno.
La questione è che dovrebbero sempre essere tenuti presenti gli scopi che si intende raggiungere. “Un principio generale che deve ispirare sempre la condotta delle pubbliche amministrazioni, infatti, è quello di valutare attentamente e selezionare, all’interno di atti o documenti in via di pubblicazione, i dati personali da oscurare o comunque da espungere, perché non richiesti (da norme di legge in maniera esplicita) o non necessari allo scopo che si intende perseguire”.
L’avvocato ricorda le parole chiarissime di Licia Califano, componente del Collegio Garante per la protezione dei dati personali, in occasione di una assemblea nazionale Anci: “La trasparenza non deve comunque essere considerata “il” valore per eccellenza, quel principio – oggi quasi unanimemente invocato – in nome del quale gli altri principi, di più antica genesi e consolidato radicamento, debbano essere sacrificati o, quantomeno, considerati difficilmente bilanciabili. La dottrina, peraltro, considera la trasparenza non tanto quale valore in sé quanto, piuttosto, valore strumentale al raggiungimento di fini di rango superiore: essenzialmente, il controllo democratico su responsabilità, buon andamento e imparzialità delle amministrazioni”.
Forse sarebbe più facile risolvere i conflitti, di tipo squisitamente giuridico, se i cittadini e la politica praticassero maggiormente un concetto poco utilizzato nel nostro mondo politico: l’accountability. Un termine che gli addetti alla sicurezza informatica conoscono bene ma che in politica potremmo tradurre con “responsabilità”. Ma nel senso, come suggeriscono gli esperti, che l’accento “non è posto sulla responsabilità delle attività svolte per raggiungere un determinato risultato, ma sulla definizione specifica e trasparente dei risultati attesi che formano le aspettative, su cui la responsabilità stessa si basa e sarà valutata. La definizione degli obiettivi costituisce, dunque, un mezzo per assicurare l’accountability”. Che a sua volta presuppone i concetti di trasparenza e di compliance: “La prima è intesa come accesso alle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, fra cui gli indicatori gestionali e la predisposizione del bilancio e di strumenti di comunicazione volti a rendere visibili decisioni, attività e risultati. La seconda si riferisce al rispetto delle norme ed è intesa sia come garanzia della legittimità dell’azione sia come adeguamento dell’azione agli standard stabiliti da leggi, regolamenti, linee guida etiche o codici di condotta. Sotto questi aspetti, l’accountability . può anche essere definita come l’obbligo di spiegare e giustificare il proprio comportamento”.
Ecco, ai cittadini in fondo interessano, o dovrebbero interessare, questi aspetti.